L’atleta overhead

Alcuni dati di colore presenti in letteratura riguardo l’intensità e la frequenza del gesto overhead in alcuni sport.

I nuotatori professionisti in media coprono 10 km al giorno, realizzando 4000 bracciate/die.

La schiacciata è il gesto più esplosivo per un giocatore di volley: la palla può raggiungere velocità di 28m/sec. Giocatori di volley professionistici si allenano fra le 16 e le 20 ore a settimana, e gli schiacciatori possono eseguire il gesto anche più di 40000 volte a stagione.

La velocita angolare durante il lancio di un giocatore di baseball è di 7000 gradi al secondo, probabilmente il gesto umano più veloce in assoluto.

Durante il lancio del giocatore di baseball, o del quarterback , si esprimono forze pari a 1/1,5 volte il peso del proprio corpo.

Bene. Ma chi è l’atleta overhead? Nell’immaginario comune è il giocatore di baseball, in realtà lo sono anche i nuotatori, i quarterback nel football e ovviamente gli schiacciatori nel volley, ovvero lo sono tutti gli sportivi che eseguono con frequenza e intensità un gesto atletico al di sopra del piano scapolare.

Questo gesto, se intenso e ripetuto nel tempo può causare diversi e non trascurabili problemi nella carriera e nella vita dell’atleta, come benissimo descritto in letteratura da Kibler, descrivendoli come “la cascata degli eventi”, ovvero una serie di alterazioni, che se non riconosciute e trattate precocemente, si aggravano con un effetto a cascata.

Il primum moment della cascata, quindi il primo scompenso,  è una tendinopatia da fatica degli extra-rotatori della cuffia, causata dalle continue e ripetute contrazioni eccentriche, micro traumatiche, durante la fase decelerati va del movimento overhead, più che durante il momento esplosivo.

Queste sono in grado di causare, a 24 ore da un evento sportivo, una riduzione reversibile dell’ intra-rotazione. La reversibilità spontanea ci suggerisce la probabile natura muscolare del deficit.

Tale affaticamento, se non trattato nel corso della stagione/carriera dell’atleta, potrebbe scaricarsi sulla capsula sottostante, causando una contrattura capsulare posteriore o posteroinferiore e conseguente  riduzione non spontaneamente reversibile dell’intra-rotazione. 

I due aspetti appena trattati, sono biomeccanicamente molto simili, ma poggiano su substrati tissutali differenti: muscoli e capsula. 

Sono sufficienti  12 settimane di uno sport over head (soprattutto tennis e baseball) a causare una riduzione prolungata della rotazione interna. 

Probabilmente sport con una fase eccentrica meno violenta, come il nuoto, presentano una minore incidenza del fenomeno.

Ciò che è importante sottolineare che questo è il momento che va riconosciuto, perché questo è il punto di non ritorno: superata questa fase iniziano le conseguenze probabilmente irreversibili.

La rigidità posteriore, e il conseguente deficit di intra-rotazione, innescano progressivamente lo shift posterosuperiore della testa omerale, detto iper-angolazione.

La testa, in questa nuova posizione, trova un vantaggio meccanico, ottenendo maggiore capacità di extra rotazione(vedi figura). 

Questo potrebbe essere interpretato come un meccanismo di compenso della spalla per ovviare alla riduzione della rotazione interna e mantenere il ROM totale: ne consegue uno scorrimento del ROM in senso antiorario per la spalla destra e orario per la spalla sinistra di 5° circa. 

In letteratura è dimostrato un aumento dell’extra rotazione negli tennisti agonisti già a 4-6 mesi dall’inizio della stagione, e un aumento di 5° di ER a fine stagione di baseball.

L’iper-angolazione comporta una fase di caricamento del lancio maggiore, con evidente aumento di forza, un po’ come una catapulta, ma anche un equilibrio precario: il complesso di stabilizzazione, infatti,  deve sopportare anche delle forze di stiramento in extra rotazione maggiori, subendo numerosi tentativi di sfiancamento, predisponendo la capsula ad una lassità anteriore.

 Il movimento descritto, violento e ripetuto nel tempo, e adesso capace di una maggiore extra rotazione in abduzione, causa una maggiore torsione dell’ancora bicipitale,  con maggiore stress a livello della stessa e del labbro glenoideo posteriore. Tale meccanismo, definito “peel back”, determinerebbe la potenziale disinserzione dell’ancora bicipitale posteriore o l’estensione di una lesione avvenuta in precedenza, ovvero una SLAP lesion.

La SLAP a sua volta conduce ad una instabilità postero-superiore, che in associazione ad un gesto ripetuto in abduzione-extra rotazione conduce, ad un progressivo stress inserzionale posteriore del sopraspinoso ed un suo progressivo cedimento.

La maggiore capacità di extra-rotazione e la retro posizione della testa aumentano la possibilità che durante il gesto overhead la cuffia si intrappoli fra la rima glenoidea posteriore e la grande tuberosità(che in extra rotazione + abduzione si trova molto posteriormente) , causando , appunto, l’impingment interno. 

Questa potrebbe causare lesione intra-articolare della cuffia posteriore nonché della porzione corrispondente del cercine, aggravando la SLAP.

Sono dimostrate infine associazioni positive fra anomalie di posizione statiche e dinamiche della scapola.

Anche il sistema propriocettivo è coinvolto in questa cascata di eventi, sia immediatamente che nel tempo: diminuisce reversibilmente dopo un singolo evento sportivo, ritornando ai valori pre-fatica dopo 10 minuti. 

Per prevenire i danni associati alla cascata bisogna riconoscere la stessa nella fase più iniziale, o meglio ancora prevenirla, attraverso il miglioramento del controllo da parte del medico di squadra e del preparatore atletico.

Una rottura della cuffia dei rotatori? Come è possibile? Io non ho avuto mai alcun trauma!

Questa è una delle perplessità più comuni esposte dai pazienti alla diagnosi di rottura di cuffia dei rotatori.

Contrariamente a quanto si crede, la cuffia dei rotatori, o se preferiamo il sovraspinato, cioè il tendine della cuffia dei rotatori che più frequentemente si rompe, assai difficilmente si danneggia per motivi puramente traumatici, molto più spesso si danneggia per motivi degenerativi, o al massimo per motivi degenerativo-traumatici.

Come affermavano i nostri maestri “quando un tendine è buono è più forte dell’osso…in seguito ad un trauma è più facile che si rompa l’osso che il tendine”. Ciò vuol dire allora che quando il tendine si rompe è perché non è buono.

La domanda più sensata quindi è: “perché degenera?”

I fattori sono numerosi e spesso contemporaneamente presenti. Fra tutti questi però voglio soffermarmi su uno, che in passato ha ricevuto grandi attenzioni e che oggi invece vede ridimensionato il suo ruolo: il conflitto (o impingment) sub-acromiale. Di cosa si tratta?

I tendini della cuffia, e in particolar modo il sovraspinoso e il sottospinoso, scorrono fra la testa omerale, in basso, e la superficie inferiore dell’acromion, in alto.

Per anni si è sostenuto che tali tendini si rompessero perché in questi soggetti l’acromion fosse troppo inclinato (e sporgente) verso il basso, danneggiando direttamente la superficie superiore dei tendini suddetti, a causa dell’attrito.

Questi, definiti “conflitti primitivi”,  vengono ancora oggi ritenuti possibili, sono stati semplicemente ridimensionati da un punto di vista quantitativo, ovvero sono molto meno frequenti di quanto si ritenesse in passato.

Il semplice fatto che la maggior parte delle lesioni parziali sia intra-articolare (quindi dal basso) e non sub-acromiale (quindi dall’alto),  ne è la prova: se attrito c’è viene dal basso e non dall’alto.

Ciò non vuol dire che il conflitto non esista, anzi. Affermiamo semplicemente che sia “secondario”, ovvero determinato dalla “risalita” della testa omerale, che spinge a sua volta il tendine.

Affermiamo in soldoni che non sia l’acromion ad andare verso il tendine ma il tendine verso l’acromion. E la testa spesso risale perché la spalla è scompensata e la cuffia non riesce ad assolvere al suo ruolo di stabilizzatore.

La riabilitazione della spalla

La riabilitazione della spalla a seguito di una sua disfunzione deve essere centrata inizialmente sul controllo del dolore e sul recupero dell’articolarita’ senza compensi strutturali.

Una volta recuperato il movimento, l’attenzione si pone sul rinforzo muscolare della cuffia dei rotatori e dei muscoli stabilizzatori della scapola, per concludere infine con il recupero della funzione e dell’eventuale gesto tecnico.

Per riprodurre la precisione con la quale il complesso della spalla funziona, i muscoli devono essere rieducati a compiere “schemi motori appresi”. Questi schemi posizionano la spalla in maniera “preordinata” e attivano i muscoli con una precisa sincronizzazione, per ottenere il recupero massimo possibile della funzione. Condizionare nello stesso tempo i muscoli degli arti inferiori e del tronco è estremamente importante, perché oltre il 50% dell’energia cinetica ad esempio nel lancio della palla e nel servizio al tennis è generato dai muscoli degli arti inferiori e del tronco. Pertanto, prima di un ritorno efficiente ad attività atletiche competitive o intense viene richiesta una riabilitazione di tutte le componenti.

Sono diverse le condizioni patologiche che possono interessare il complesso della spalla. Il problema può essere il frutto di una lesione traumatica acuta con danno di una o più componenti del sistema, oppure di microtraumi ripetuti nel tempo che alterano gradualmente la meccanica normale dell’intero complesso, come ad esempio nel caso degli atleti over head. Mobilità, forza e stabilità sono le tre componenti della funzione della spalla che possono essere compromesse da una lesione acuta o cronica. Tutte e tre possono essere trattate efficacemente con una terapia riabilitativa. Minimi disequilibri, come un aumento della traslazione anteriore della testa dell’omero dovuta ad una limitazione della rotazione interna ed una rigidita’ della capsula postero inferiore, una migrazione in alto della testa dell’omero risultante dalla debolezza della cuffia dei rotatori o ancora un posizionamento anormale della scapola secondario alla debolezza del trapezio o del dentato anteriore, sono più difficili da diagnosticare e altrettanto difficili da trattare.

Lo scopo della riabilitazione, indipendentemente dalla patologia, è sempre il recupero della funzione Il fattore più importante che determina il successo o il fallimento di un protocollo di riabilitazione della spalla è la definizione di una diagnosi corretta. Per quanto riguarda la maggior parte degli interventi ortopedici di spalla, il team riabilitativo si compone di 3 specialisti fondamentali: il medico ortopedico, il medico fisiatra e il fisioterapista. Queste 3 figure si occupano della presa in carico del paziente fino a completamento del miglior recupero funzionale auspicato, nel rispetto delle linee guida.

Al primo contatto con il fisiatra, in carico di occuparsi della riabilitazione, vengono delineate le proposte terapeutiche ed un vero e proprio progetto riabilitativo funzionale rigorosamente individualizzato. In generale, la riabilitazione di una spalla dopo intervento chirurgico inizia con una mobilizzazione passiva che segue un iniziale periodo di immobilizzazione post operatoria variabile a seconda del tipo di intervento effettuato. Il ruolo principale rappresentato dall’immobilizzazione e’ incentrato sulla riduzione del dolore e la ridistribuzione delle forze di taglio lontano dall’area chirurgica coinvolta. I problemi a proposito della mobilizzazione precoce in questi casi riguardano la paura di aggravare una condizione già di per sé dolorosa e il rischio di compromettere una riparazione chirurgica.

L’automobilizzazione passiva viene condotta frequentemente in maniera scorretta, realizzando compensi e asimmetrie per la mobilizzazione dell’arto nello spazio che, invece di favorire il mantenimento del range articolare, inducono l’insorgenza di contratture, squilibri muscolari e irrigidimento globali delle strutture miofasciali, rachidecervicale e dorsale, senza favorire il recupero funzionale, ma anzi contribuendo all’insorgenza di rigidità.

Il nonno dell’artroscopio

Spesso noi ortopedici ci lamentiamo della strumentazione attuale.

Come DIAGNOSTICAVANO E CURAVANO le patologie articolari i miei colleghi predecessori???

Da medico ortopedico e specialista in spalla mi pongo questa domanda e non posso fare altro che sorridere e ringraziarli.

Oggi interveniamo in Artroscopia (arthros->articolazione, scopos->luce), che significa letteralmente entrare in un’articolazione (nella fattispecie nella spalla).

Il primo antenato dell’artroscopio fu il “Lichtleiter”, ovvero un cistoscopio, quindi uno strumento utilizzato per entrare in vescica: corre l’anno 1806. Ovviamente non era ancora stata inventata la lampadina, per cui si ovviava con una candela.

Da allora ad oggi di strada se n’è fatta tanta!